FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

 

Due anziani, Simeone e Anna, attendono nel tempio il compimento della promessa che Dio ha fatto al suo popolo: la venuta del Messia. Ma la loro attesa non è passiva, è piena di movimento. Seguiamo dunque i movimenti di Simeone: egli dapprima è mosso dallo Spirito, poi vede nel Bambino la salvezza e finalmente lo accoglie tra le braccia (cfr Lc 2,26-28). Fermiamoci semplicemente su queste tre azioni e lasciamoci attraversare da alcune domande importanti per noi, in particolare per la vita consacrata.

La prima è: da che cosa siamo mossi? Simeone si reca al tempio «mosso dallo Spirito» (v. 27). Lo Spirito Santo è l’attore principale della scena: è Lui che fa ardere nel cuore di Simeone il desiderio di Dio, è Lui che ravviva nel suo animo l’attesa, è Lui che spinge i suoi passi verso il tempio e rende i suoi occhi capaci di riconoscere il Messia, anche se si presenta come un bambino piccolo e povero. Questo fa lo Spirito Santo: rende capaci di scorgere la presenza di Dio e la sua opera non nelle grandi cose, nell’esteriorità appariscente, nelle esibizioni di forza, ma nella piccolezza e nella fragilità. Pensiamo alla croce: anche lì è una piccolezza, una fragilità, anche una drammaticità. Ma lì c’è la forza di Dio. L’espressione “mosso dallo Spirito” ricorda quelle che nella spiritualità si chiamano “mozioni spirituali”: sono quei moti dell’animo che avvertiamo dentro di noi e che siamo chiamati ad ascoltare, per discernere se provengono dallo Spirito Santo o da altro. Stare attenti alle mozioni interiori dello Spirito.

Allora ci chiediamo: da chi ci lasciamo principalmente muovere: dallo Spirito Santo o dallo spirito del mondo?

Una seconda domanda: che cosa vedono i nostri occhi? Simeone, mosso dallo Spirito, vede e riconosce Cristo. E prega dicendo: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza» (v. 30). Ecco il grande miracolo della fede: apre gli occhi, trasforma lo sguardo, cambia la visuale. Come sappiamo da tanti incontri di Gesù nei Vangeli, la fede nasce dallo sguardo compassionevole con cui Dio ci guarda, sciogliendo le durezze del nostro cuore, risanando le sue ferite, dandoci occhi nuovi per vedere noi stessi e il mondo. Occhi nuovi su noi stessi, sugli altri, su tutte le situazioni che viviamo, anche le più dolorose. Non si tratta di uno sguardo ingenuo, no, è sapienziale; lo sguardo ingenuo fugge la realtà o finge di non vedere i problemi; si tratta invece di occhi che sanno “vedere dentro” e “vedere oltre”; che non si fermano alle apparenze, ma sanno entrare anche nelle crepe della fragilità e dei fallimenti per scorgervi la presenza di Dio.

Infine, una terza domanda: che cosa stringiamo tra le braccia? Simeone accoglie Gesù tra le braccia (cfr v. 28). È una scena tenera e densa di significato, unica nei Vangeli. Dio ha messo suo Figlio tra le nostre braccia perché accogliere Gesù è l’essenziale, il centro della fede. A volte rischiamo di perderci e disperderci in mille cose, di fissarci su aspetti secondari o di immergerci nelle cose da fare, ma il centro di tutto è Cristo, da accogliere come il Signore della nostra vita.

Quando Simeone prende fra le braccia Gesù, le sue labbra pronunciano parole di benedizione, di lode, di stupore. Allora, quando non abbracciamo Gesù, il cuore si chiude nell’amarezza. Ma noi dobbiamo stringere Gesù in adorazione e domandare occhi che sappiano vedere il bene e scorgere le vie di Dio. Se accogliamo Cristo a braccia aperte, accoglieremo anche gli altri con fiducia e umiltà. Apriamo le braccia, a Cristo e ai fratelli! Lì c’è Gesù. Andiamo verso la gioia dell’incontro: questo è molto bello! Rimettiamo Lui al centro e andiamo avanti con gioia.