EPIFANIA DEL SIGNORE
Epifania. Festa dei cercatori di Dio. Perché Dio è sempre da scoprire. Se c’è una cosa che può offendere Dio, è quella di pensare, da parte nostra, di conoscerlo, e di rinchiuderlo dentro le nostre parole.
E dove trovano Dio i Magi? non nei re o nei sommi sacerdoti, ma nell’ultimo di tutti gli uomini, l’ultimo: trovarono un bambino in braccio a sua madre e lo adorarono. E dopo aver fatto il giro di tutto l’Oriente, dopo aver indagato gli universi, si fermano davanti a un bambino. La scoperta è lì. Una cosa enorme.
Il primo gesto di noi cercatori lo indica Isaia: “Alza il capo e guarda”. Due verbi bellissimi: alzare il capo, guardare in alto e attorno, sollevare gli occhi dal piccolo, aprire le finestre di casa al grande respiro del mondo.
Resta con i piedi per terra, ma con occhi nel cielo; segui non le paure, ma la speranza.
Alza il capo e guarda, cerca un angolo di cielo e poi da lassù interpreta la vita, ma guardandola dall’alto, da obiettivi alti e chiari. Da una stella.
Il secondo gesto della ricerca: partire, non restare fermi, immobili, il peggio che ci possa capitare; Dio è una forza che fa partire, i Magi attraversano deserti e città, e non vanno di teoria in teoria, di libro in libro, camminano e parlano con persone: siamo noi le sillabe della parola di Dio, siamo la sua Epifania, in ognuno Dio ha seminato un frammento di stella cometa.
Partire, non come gli scribi di Gerusalemme, che sapevano tutto, “a Betlemme deve nascere”, sapevano ma non credevano. Bene nel loro ruolo di studiosi, di teologi, male con il compito di chi ha fede e gli brucia il cuore. Si può fare teologia senza fede, senza passione per Dio.
Il terzo passo è il ritmo della carovana. La tradizione parla di tre re magi, ma il vangelo dice ‘alcuni magi’: una piccola comunità, un gruppo: camminano insieme, attenti alle stelle e attenti l’uno all’altro. Fissando il cielo e fissando gli occhi di chi cammina a fianco, capaci di rallentare il passo sulla misura dell’altro, di porgere il braccio a chi fa più fatica. Ecco, il terzo passo. Mai da soli, mai senza l’altro.
Il quarto passo è il più sorprendente. Il cammino dei magi è pieno di errori: vanno a Gerusalemme anziché a Betlemme; chiedono del bambino a un assassino di bambini; cercano una reggia e trovano una povera casa. Perdono la stella ma non si arrendono. Hanno l’infinita pazienza di ricominciare. Il dramma dell’uomo non è sbagliare o cadere, è arrendersi. Si può cadere sette volte, ma rialzarsi otto volte.
E poi l’atto finale: videro il bambino in braccio alla madre, si prostrarono e offrirono i loro doni.
Il dono più prezioso che i Magi portano non è l’oro, è il loro stesso viaggio. Il dono senza prezzo sono i mesi e mesi trascorsi in ricerca, andare e ancora andare dietro ad un desiderio più forte di deserti e fatiche.
P. Ermes Ronchi