L’INCARNAZIONE DEL FIGLIO, SENTIRE E TOCCARE LA SUA POVERTA’
News 25327, Pantelleria 25/12/2019
È Natale. E anche a volerlo rimuovere, quanto meno il calendario, segnando con caratteri rossi il 25 di dicembre, obbliga tutti a tenerne conto. Tuttavia ritengo che dispiaccia un po’ a tutti, anche a quanti si professano indifferenti o contrari alla religione, che questa festa dai molteplici e significativi richiami anche emozionali appaia privata delle sue motivazioni vere e sia finita nel calderone di un consumismo onnivoro. Un indicatore non sospetto e facilmente verificabile è la pubblicità, i cui messaggi martellanti propongono acquisti di ogni genere, giocandosi la parola Natale e sperando che tanti cadano nella rete, suggestionati dai consigli per gli acquisti.
E il mistero del Figlio di Dio che si fa uomo, entrando nella nostra storia con un corpo come il nostro, dove va a finire? È successo che, poco alla volta, la festa cristiana del Natale è stata trasformata in una festa pagana con sue ritualità, che hanno finito per coinvolgere anche buona parte di cattolici devoti. La veglia della notte santa, come veniva chiamata, una volta difficilmente veniva disertata e coinvolgeva adulti e piccini attratti dal richiamo del piccolo bimbo del presepe. E quel che sorprendeva di più era la convinzione che non si trattava di una notte di poesia dal sapore mieloso nella quale tutto assumeva una tonalità amabile, né di una favola per bambini, a loro riservata perché fatta a loro misura. Certo l’atmosfera era creata ad arte (presepi, luci, colori, canti e musiche, doni…), ma non per stupire o distogli ere l’attenzione dal mistero celebrato; piuttosto per farlo cogliere meglio attraverso una molteplicità di alfabeti e di linguaggi.
Oggi questo fascino della notte di Natale è assai ridotto ed è decisamente cambiato. Alla liturgia della Chiesa si preferiscono altre ritualità prevalentemente goderecce perché a Natale puoi; alla contemplazione orante del mistero si sostituisce la accattivante concretezza del gusto che a Natale è più dolce che mai; alla gratificante condivisione si è anteposta la propria voglia di avere perché il Natale ha bisogno di te. Dove è andata a finire l’ingenua povertà del presepe? E la capanna con un po’ di paglia insufficiente a mitigare il freddo e il gelo della notte di Betlemme? Chi ha preso il posto dei pastori, occupanti forzati degli ultimi posti della scala sociale? Certo ci sono anche i Magi; ma essi non ostentano sapienza, ricchezza e potere; piuttosto «insegnano che si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo. Sono uomini ricchi, stranieri sapienti, assetati d’infinito, che partono per un lungo e pericoloso viaggio che li porta fino a Betlemme (cfr Mt 2,1-12). Davanti al Re Bambino li pervade una gioia grande. Non si lasciano scandalizzare dalla povertà dell’ambiente; non esitano a mettersi in ginocchio e ad adorarlo» (Papa Francesco, Lettera apostolica Admirabile signum, n. 9).
In sintesi, il presepe «manifesta la tenerezza di Dio. […] In modo particolare, […] il presepe è un invito a “sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi (cfr Mt 25,31-46)» (n. 3).
Per queste considerazioni il Natale è una festa nel senso religioso del termine, ma anche un manifesto che propone modelli di relazioni umanizzanti, valori capaci di cambiare la qualità della vita, attenzione partecipe e coinvolgente verso il prossimo. Per dirla col Papa il presepe «è come un Vangelo vivo […]. Mentre contempliamo la scena del Natale, siamo invitati a metterci spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo. E scopriamo che Egli ci ama a tal punto da unirsi a noi, perché anche noi possiamo unirci a Lui» (n. 1).
Domenico Mogavero, Vescovo