Gerusalemme è una città piena di fascino, ma riesce a essere anche una città fatale. Delle due volte in cui i vangeli ci presentano Gesù in pianto una riguarda proprio Gerusalemme, alla cui vista dal monte degli ulivi egli non poté trattenere le lacrime, accompagnate da un accorato rammarico: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata» (Lc 19,42-44).
La domenica delle Palme fa emergere drammaticamente l’ambiguità della città santa e la liturgia la presenta in tutta la sua crudezza. Infatti, proprio prima del pianto, il vangelo di Luca narra l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, che viene proclamato nella prima parte della celebrazione. La scena è semplice, festosa, coinvolgente, anche se suscita il risentimento dei farisei che non condividono quella partecipazione corale del popolo. La domenica delle palme Gerusalemme è città dalle braccia aperte, accogliente, pronta a riconoscere in Gesù il «benedetto, il re, che viene nel nome del Signore» (Lc19,38).
Passano pochi giorni e quella stessa città, quello stesso popolo, smemorati, assecondano le maliziose insinuazioni dei farisei e dei capi e voltano le spalle a colui che avevano osannato. Quanto è ballerino, e senza ritegno, il cuore umano! E la liturgia testimonia questo voltafaccia, proponendo nel vangelo della messa il racconto della passione, che quest’anno viene proposto nella versione di Luca (22,1-23,56). Il messaggio integrale che la sapienziale pedagogia liturgica ci offre, purtroppo, viene colto solo parzialmente dalle nostre assemblee celebranti. Per alcuni, infatti, la benedizione dei rami è tutto e se ne vanno una volta terminato quel rito. Per altri, il martirio del Salvatore passa in secondo piano e non arriva al loro cuore, suscitando compassione e condivisione.
E per chi legge? L’auspicio è che sappia cogliere il messaggio di tutta la celebrazione e manifesti accoglienza al Signore Gesù, facendo festa con lui e per lui. Ma nello stesso tempo, che non si volti da un’altra parte quando Gesù si mostra nel volto sofferente degli sfigurati dalle ferite mortali della guerra, della violenza, delle persecuzioni, delle povertà, delle emarginazioni, delle dipendenze. Non possiamo far mancare ai nuovi crocifissi consolazione, conforto e vicinanza affettuosa. Ce lo chiede il Cristo che, con un rifiuto indecente, ha perduto la gara con Barabba!
Domenico, Vescovo