In una nota la presidenza Cei esprime “grave inquietudine” e sottolinea che chi soffre “va aiutato a gestire il dolore”, non “a eliminare la propria vita”
Roma, 18 agosto 2021 –
I vescovi alzano la voce contro il referendum sull’eutanasia, che ha già raccolto 500mila firme. La presidenza Ceiesprime “grave inquietudine” per la raccolta di firme per il referendum che mira a depenalizzare l’omicidio del consenziente, aprendo di fatto all’eutanasia nel nostro Paese.
“Chiunque si trovi in condizioni di estrema sofferenza va aiutato a gestire il dolore, a superare l’angoscia e la disperazione, non a eliminare la propria vita – si legge in una nota – Scegliere la morte è la sconfitta dell’umano, la vittoria di una concezione antropologica individualista e nichilista in cui non trovano più spazio né la speranza né le relazioni interpersonali”.
“Non vi è espressione di compassione nell’aiutare a morire – rileva ancora la Presidenza della Cei -, ma ‘il Magistero della Chiesa ricorda che, quando si avvicina il termine dell’esistenza terrena, la dignità della persona umana si precisa come diritto a morire nella maggiore serenità possibile e con la dignità umana e cristiana che le è dovuta’ (Samaritanus bonus, V, 2)”.
CONOSCERE PER NON SBAGLIARE.
Sono un’insegnante, e come per un contadino gli attrezzi del mestiere sono la zappa ed il trattore, così per me e per tutti i miei colleghi, gli attrezzi sono la conoscenza, lo studio e la riflessione critica, su ciò che poi dovremo trasferire come conoscenza agli alunni e alle loro famiglie, che hanno diritto di essere correttamente informati.
In questo scenario si capisce bene che la virtù principale da esercitarsi da parte di un’insegnante è l’onestà intellettuale, che gli fa capire che la verità non è tale se è gridata, o portata avanti dalla maggioranza, o se è utile, ma la verità è tale se è verità. Punto! Questo vuol dire che la verità va riconosciuta anche se è scomoda, se va contro corrente, e se toglie il sapore della vittoria a molte persone potenti.
Durante il periodo Nazista e Stalinista, la storia lo insegna, le ideologie spingevano a nascondere fatti, circostanze, ecc… per far credere vero ciò che vero non era. E durante quel periodo era comune parlare di eutanasia… guarda il caso. E veniva presentata come la soluzione liberatoria della vita di chi soffriva mentalmente o fisicamente, vite non degne di essere vissute. RAI TRE qualche anno fa ne ha fatta una eloquente presentazione in un documentario preparato con scrupolosa ricostruzione storica da Antonella Tiburzi e Aldo Pavia (Si può visionare ad esempio in https://ilmitte.com/2020/01/aktion-t4-lo-sterminio-nazista-dei-disabili-prima-degli-ebrei-ci-furono-loro/).
Ora, alla base dell’eutanasia stava un concetto fondamentale, che la vita di chi soffre non è degna di essere vissuta, è un peso per lui e per la società, e va instillata l’idea di cercare la morte per porre fine alla sofferenza.
Per fortuna quei terribili regimi politici furono sconfessati dall’umanità, e si è voltata pagina, ma alcune idee perverse sono rimaste latenti, e periodicamente riaffiorano. Tra queste c’è l’idea che le singole persone e la società debbano mettere al di sopra della «dignità della vita», la «qualità della vita», ovvero la ricerca di una vita che, se non è soggettivamente soddisfacente e socialmente utile, non sarebbe degna di essere vissuta, e la soluzione sarebbe quelle di cercare una «morte dignitosa». In questo modo si esalterebbe finalmente la libertà umana, la sua capacità di autodeterminarsi.
Tutto questo ragionamento probabilmente è sottostante anche alle iniziative in corso in Italia, dove, da parte di alcuni, si vorrebbe la legalizzazione dell’eutanasia per mettersi alla pari di altre Nazioni, le quali in realtà, in fatto di civiltà, di cultura e di assistenza socio-sanitaria, non hanno certo da insegnare nulla al nostro Paese.
Ma che cos’è l’eutanasia? E un atto uccisivo, chiamato enigmaticamente omicidio per pietà, che può essere attivo o omissivo. La sua definizione è quella di «un’uccisione al fine di togliere la sofferenza». Rileggiamo bene: è «un’uccisione», dunque non è un atto terapeutico, ed è finalizzato a togliere la vita, non la sofferenza. Poi la sofferenza non ci sarà più (forse) perché non c’è più la vita.
Bene, penso che nessuno ami la sofferenza, sia essa fisica, psichica o esistenziale, e io sono la prima a non amarla. Ma è l’eutanasia la soluzione corretta per eliminare la sofferenza?
Dobbiamo fare alcuni rilievi.
Il primo è che non esiste oggi una sofferenza fisica che non possa essere dominata dalle terapie del dolore e dalle cure palliative. Ma allora, perché l’eutanasia? Così anche per la sofferenza psichica: psicofarmaci e psicoterapie permettono oggi a molti sofferenti di avere una vita quasi normale, ai casi più gravi, anche con l’accudimento da parte del personale specializzato, di controllare le fasi più difficili. Ma allora, perchè l’eutanasia? Riguardo alla sofferenza esistenziale vanno forse ripensati i modelli e gli stili di vita che la società utilitarista propone, sappiamo che la presenza amorevole di amici veri e familiari è capace di riemp ire il vuoto della solitudine e di curare le sofferenze esistenziali. Ma allora perché eutanasia?
Il secondo rilievo riguarda la libertà. Darsi la morte è affermare ed esaltare libertà? La libertà esige la vita ed è finalizzata alla vita non all’annientamento di sé, per cui l’eutanasia che uccide la vita in realtà uccide anche libertà, è un mostro che divora se stesso.
Il terzo rilievo riguarda il mezzo eutanasico, e chiedo di perdonarmi per la crudezza delle parole che seguono. L’eutanasia se attiva è generalmente praticata con la somministrazione di sostanze che bloccano la respirazione e determinano la morte per asfissia. È questa la morte dolce e serena che viene presentata? È dunque necessario praticare previamente una sedazione profonda. Ma chi mai ha raccontato in realtà per esperienza, se è veramente serena una morte per asfissia con una sedazione profonda?
Un’ultima riflessione, quella sui medici e sul personale sanitario, i quali sono tali per la cura del malato e per la vita dei sofferenti, non per la morte, anche se da loro richiesta, il giuramento di Ippocrate da tremila anni lo insegna. Anni fa negli Stati Uniti si chiedeva ai medici di assistere i condannati a morte e di praticare l’iniezione letale. La loro risposta fu che medico è tale per operare la guarigione non la morte, il killer o il boia, sono un’altra cosa.
Termino con una domanda che faccio a me stessa ad alta voce. Non è che, in fondo, nella mentalità pro eutanasia, ci sia da parte degli Stati che ne hanno approvata la legge, la volontà di sbarazzarsi facilmente di casi «ingombranti», cioè di malati che richiedono molte risorse economiche e l’impiego continuo di assistenza? Una volta ogni malato era il centro dell’affetto e dell’attenzione di tutta la famiglia e dei vicini, che lo consideravano un tesoro prezioso e non lo lasciavano mai solo anche a costo di grandi sacrifici, si soffriva e si gioiva tutti insieme. Non è che le stesse ideologie che da anni cercano di rodere l’unità e la bellezza dell a famiglia, siano le stesse che oggi, sotto il pretesto di un’apparente ed eroica maggiore affermazione della libertà e dell’autodeterminazione, vogliono in realtà spingere i malati gravi o i loro parenti a chiedere l’eutanasia come soluzione, per sbarazzarsi di persone considerate solo come un peso inutile e senza valore? Ma per che cosa vale un essere umano? Pensiamoci.
Saverina Culoma